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Aci e Galatea .........

e i capricci d'amore

Aci e Galatea

"A tempu chi lu tempu ‘un era tempu"

 

Si narrava che, Aci fosse figlio di Fauno, divinità della pastorizia, e dalla Ninfa Simeta, figlia del fiume Simeto.

Anche Galatea era una Ninfa. La più bella fra le cinquanta Nereidi, figlie di Nereo, un dio del mare, e di Doride, figlia dell’Oceano e di Teti.

Quando il pastorello Aci compì sedici anni, e una incerta peluria cominciò a ombreggiare le sue tenere guance, la sua vicina, la Ninfa Galatea se ne innamorò perdutamente.

Fu un magico luogo alle pendici dell’Etna che vide sbocciare il loro amore. Il fonte era bellissimo. Acque lattiginose facevano sbocciare bianchi fiori di zolfo nello spazio circostante. La sorgente sgorgava, cristallina, gaia e civettuola. Il tempo, ignaro di sé, scorreva complice dei due amanti, protagonisti di leggiadri e incantevoli giochi d’amore. I due giovani amanti si nutrivano di baci e frutti della montagna ma un giorno si sfidarono in un nuovo gioco d’amore : chi avrebbe preparato per l’altro un cibo favoloso ma semplice e giovane come erano loro.

Quando si rividero l’indomani Galatea offrì all’amato una crispella, un fagottino di pasta sottilissima e fumante con un cuore pieno di ricotta. Era il frutto del lavoro del giovinetto che aveva voluto imprigionare dentro una pasta sottile ed avvolgente ,cotto nel cratere del vulcano. Aci sorrise poiché l’amore gli aveva suggerito lo stesso omaggio da fare all’amata solo che dentro questa sottile pasta , con allusiva forma, vi era custodito un pesciolino,figlio di quel mare al quale apparteneva la ninfa.

La leggerezza, effetto di quel loro tubare, li rese sordi e ciechi a quel presagio che verso di loro spirava dalla montagna. Il terribile Ciclope Polifemo, da sempre innamorato (non corrisposto e anzi deriso) dalla bella Galatea, masticava amaro.

Il mostro si struggeva, spiando col suo unico occhio, da sopra quel monte, l’amore tra Aci e Galatea. Ora disprezzava quel sentimento d’orgoglio che un tempo lo aveva fatto sentire fiero della sua smisuratezza e rozzezza. Perchè mai, lui, avrebbe potuto fare quei giochi gentili e sinuosi , e quelle languide carezze che mandavano in estasi Galatea.

Il rozzo Ciclope, malato d’amore, non si curava più del proprio gregge. Né si dilettava più di andare a caccia di umani per sgranocchiarseli la sera, quando seduto davanti l’antro della sua spelonca, guardava la luna, il suo passatempo preferito.

Una mattina che il sole sfavillava più del solito sugli amplessi dei due innamorati (e le scene arrivavano al suo grande occhio ancora più nitide) non poté più contenersi. La sua disistima toccò il fondo. Il grande dolore, ingrottato nelle sue profonde viscere da tempo antico, si ribellò.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Una profonda collera montò dentro di lui, abbrancandolo… finché!… Finché non ci vide più da quell’occhio, diventato di fuoco, e dalle grandi narici cominciò a sbuffare cenere, fumo e lapilli.

Quando il suo grande braccio si alzò nel cielo per scagliare una roccia sui due, Aci scorse l’ombra che si abbatteva su di loro. Ebbe giusto il tempo di spingere Galatea verso il mare. " Fuggi, fuggi", le disse, con la paura nel gorgoglìo della voce. E già lo sfortunato fonte, bianco come il latte, si mutava in rosso sangue.

La roccia aveva colpito il pastorello, che ne restò sepolto.

Galatea, giratasi in quel momento, mandò un grido di dolore così alto che arrivò agli dei.

Questi mossi a pietà, salvarono il pastorello, tramutandolo in un fiume.

Ancora oggi, il fiume Jaci, diramato in tante fiumare, scorre nei sotterranei del suolo che ne porta il nome.

Le sue acque gelide, scorrono fuggenti verso il mare, in cerca della sua amata Galatea.

Lei, fedele lo aspetta, nella bianca spuma delle acque del mare.

Ed è da allora, che un continuo susseguirsi di abbracci rigenera il loro predestinato amore, in un dolce eterno connubio.

E i catanesi celebrano a tavola o dentro i cartocci di carta gialla , la così detta carta paglia, l’unione gastronomica dei due amanti consumando con gran piacere , abbondati quantità di cripeddi ca ricotta e c’anciova 

G G  & C

 

 

 

 

 

 


 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Ingredienti

1,200 Kg di semola di grano duro;

150 g di lievito fresco; fresco (oppure un cucchiaio di lievito di birra liofilizzato)
5 acciughe salate, diliscate e ridotte a pezzetti;

300 g di ricotta fresca di pecora setacciata;

strutto abbondante (le crispelle dovranno galleggiare), sale.

Si può usare anche l’olio di arachidi o di semi


Non fatevi illusioni: queste crispelle non saranno mai così buone fatte in casa, quando quelle che potrete assaggiare dal più umile rosticciere popolare Il perché di questa quasi impossibilità di rifare in casa queste crispelle è presto detto: si tratta anzitutto di “quantità”, poi di esperienza. La tenera pasta delle crispelle vuole lievitare a lungo entro i grandi recipienti di ceramica smaltata e poi le crispelle vanno fritte, a galleggiare, nel grande padellone Ma la tecnica, raffinata e veloce, nel manipolare la pasta quasi liquida, è qualcosa che veramente non s’insegna.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Preparazione

 

Setacciamo la farina in una ampia bacinella, uniamo il sale e lo zucchero, mescoliamo e pian piano uniamo l’acqua, nella quale abbiamo sciolto il lievito di birra, dopo averlo sbriciolato, nel caso si usi quello fresco; quello disidratato lo possiamo unire direttamente alla farina. Facciamo attenzione e non formare grumi (conditio sine qua non), serviamoci di una frusta da cucina o mescoliamo direttamente con le mani. Otterremo una pastella, molto molle, quasi liquida. E così che deve essere! Copriiamo con uno strofinaccio da cucina pulito, avvolgiamo il tutto con una coperta e mettiamo a lievitare in luogo caldo, vicino ad un termosifone o nel forno, preriscaldato a 60 ° e poi spento. In estate, considerando le temperature che raggiungiamo in Sicilia… lieviterà senza alcun aiuto!!!

Dilischiamo e sciacquiamo le acciughe sotto acqua corrente, mettendole ad asciugare su carta-paglia ed infine le tagliuzziamo. Trascorso il tempo necessario alla lievitazione, circa 2 ore, ma con tutte le variabili del caso, dovrete vedere la pastella raddoppiata di volume e piena di “bolle”… questo vorrà dire che è pronta per la frittura!

Cominciamo a cospargere la superficie della pastella coi pezzettini di acciuga, non tutti, procediamo “a strati”. Mettiamo una padella dai bordi alti (se ne possedete una col cestello fatta apposta per friggere usatela, sarà perfetta) ma non troppo ampia sul fuoco, riempiamo d’olio che dovrà arrivare a circa 170 ° (se non avete una sonda, metodo empirico: metteteci dentro un pezzo di mollica di pane, se l’olio sfrigola è pronto). Servendoci di 2 cucchiai prendiamo una porzione di pastella, facendo attenzione che ogni cucchiaiata contenga almeno 2 pezzetti di acciuga; passiamo la pastella da un cucchiaio all’altro, per dare forma per quanto possibile regolare e via, tuffiamo nell’olio bollente. Non più di 4 pezzi per volta, le vostre frittelle dovranno galleggiare nell’abbondante olio caldo e, se dovessimo mettere più pezzi , rischieremmo di abbassare troppo la temperatura dell’olio. Con una schiumarola bisogna essere pronti a rigirare le crispelle, che appena toccheranno l’olio si gonfieranno subito.
La pasta, a contatto col liquido bollente, istantaneamente s’increspa, donde il nome, ed è pronta quando assume un bel colore dorato compatto
Il segreto della crispella perfetta è nella doppia frittura!
Dopo averle rigirate, tiriamole subito fuori dall’olio e mettiamole a scolare su carta paglia, dovranno essere ancora molto chiare! Continuiamo fino ad esaurimento della pastella con sopra le acciughe. Quando saranno tutte sul piano di lavoro, rituffiamole nell’olio, ripartendo dalle prime che abbiamo fritto, sempre alla giusta temperatura, sempre non più di 4 crispelle per volta. Questo doppio passaggio evita che le crispelle, ben dorate fuori, dentro restino crude; quando le mettiamo a riposare, dopo averle estratte dall’olio, l’interno continua a cuocere, a differenza della crosta esterna. Rifriggendole la doratura esterne si perfeziona. Non perdiamo mai di vista la frittura perché si doreranno in pochi istanti… tiriamole fuori (col cestello o con la schiumarola), mettiamole a perdere l’eccesso di olio. Per le crispelle con la ricotta il procedimento è identico la ricotta va lavorata leggermente con una forchetta quindi viene data una forma rotonda, ma friggono contemporaneamente e poi si mettono, fumanti, a sgocciolare nell’apposito recipiente e, finalmente, serviamole caldissime!

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

"Polifemo spia Aci e Galatea", Auguste Ottin, 1866, Giardini di Lussemburgo, Parigi

" Aci e Galatea",Giacinto Gimignani, pittura

XVII sec, Fondazione  Zeri, Università di Bologna

Annibale Caracci "Il ciclope Polifemo "

1595-1605, Palazzo Farnese, Roma

 Romano  Giulio " Galatea  Aci e Polifemo" galleria d'arte Roma

Statua di Aci e Galatea ,

villa Belvedere Acireale

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